25 e 26.10.22 Teatro in italiano “Novecento” con Massimo Zamboni

Lo scorso ottobre, una sala gremita di appassionati di lingua e cultura italiana ha accolto lo spettacolo teatrale Novecento, tratto dall’omonimo romanzo di Alessandro Baricco e interpretato dall’attore Massimo Zamboni per la regia di Herman Boets.

Le luci si abbassano e sul palco si intravedono alcuni oggetti di scena, come due cappelli, due casse e una tromba. Il grido “America!” rompe il silenzio della sala e fa voltare indietro gli spettatori: l’attore Massimo Zamboni, divenuto personaggio, si presenta al suo pubblico attraversando la platea e camminando verso il palcoscenico, evocando in questo modo il tema dell’emigrazione e del mito americano che tanto caratterizza il secolo scorso (“dato che l’America era sempre l’America”). Il palcoscenico del teatro De Koelisse si trasforma nella nave Virginian e lo spettatore è invitato a salire a bordo.  Protagonista dell’opera è Danny Boodmann T. D. Lemon Novecento, un pianista speciale che dedica la sua vita a suonare per i passeggeri del Virginian, una nave che attraversa l’oceano Atlantico. Si chiama Novecento, perché questo è il nome che il padre adottivo, un macchinista della nave, ha deciso di dargli, avendolo trovato nel primo anno del nuovo secolo. E si chiama anche Lemon, perché è in una cassa di limoni che Novecento viene trovato, nella sala della prima classe del transatlantico. Da quella nave non scende mai, trascorre la sua vita lì, suonando insieme alle onde del mare: “l’Oceano era casa sua. E quanto alla terra, be’, non ci aveva mai messo piede”. La fermezza anticonformista di Novecento può forse ricordare quella che già era stata di Cosimo Piovasco di Rondò, l’eroe di Italo Calvino nel Barone Rampante (il cui spettacolo teatrale è andato in scena a Lovanio lo scorso anno, avendo come interprete ancora una volta Massimo Zamboni). Novecento e Cosimo sono pronti a difendere, irremovibili, le loro scelte coraggiose ed entrambi decidono di guardare il mondo da una prospettiva diversa: da una nave il primo, dagli alberi l’altro. Anche quando un giorno Novecento crede sia arrivato il momento di scendere dalla nave, egli desiste: al terzo gradino, infatti, preferisce ritornare nel ventre della sua grande nave, a cui è legato da fili di sopravvivenza, come ad una grande madre di lamiere che lo protegge dal mondo. Pur non avendolo mai visto, lui il mondo lo conosce bene, attraverso le storie dei passeggeri che incontra, e non importa se non potrà costruirsi una sua famiglia: “tutte le donne del mondo le ho incantate suonando una notte intera per una donna, una, la pelle trasparente, le mani senza un gioiello, le gambe sottili, ondeggiava la testa al suono della mia musica, senza un sorriso, senza piegare lo sguardo, mai, una notte intera, quando si alzò non fu lei che uscì dalla mia vita, furono tutte le donne del mondo. Il padre che non sarò mai l’ho incantato guardando un bambino morire, per giorni, seduto accanto a lui, senza perdere niente di quello spettacolo tremendo bellissimo”.  Il romanzo di Baricco racchiude in poche pagine tutte le contraddizioni di un’epoca, del secolo da cui il protagonista prende il nome. Novecentesco è infatti il tema dello sradicamento: “Novecento non esisteva nemmeno, per il mondo: non c’era città, parrocchia, ospedale, galera, squadra di baseball che avesse scritto da qualche parte il suo nome. Non aveva patria, non aveva data di nascita, non aveva famiglia. Aveva otto anni: ma ufficialmente non era mai nato”. Tra i temi dell’opera spicca poi senz’altro il binomio finito-infinito, racchiuso nella metafora del pianoforte: a partire da un numero limitato e finito di tasti (lo stesso numero 88 rimanda all’idea di infinito) e di note, infinite sono le possibilità di composizione e di musica. Un po’ come accade per la poesia in Giacomo Leopardi, la sua è una musica che nasce dall’immaginazione, dal vago e dall’indefinito: se avesse messo piede sulla terra, se avesse visitato tutte le città del mondo, non sarebbe la stessa, non sarebbe così bella e speciale. È una musica che esiste finché Novecento si trova al pianoforte ed è, non a caso, definita “piccola ma bella”. La piccolezza rimanda alla finitezza, tema che ritorna con insistenza nel corso dell’opera: la nave Virginian, piccola e finita rispetto al resto del mondo, ne è una rappresentazione metaforica di squisita sensibilità, così come la cassa di frutta dentro cui Novecento viene trovato ancora neonato.  La bellezza, invece, rimanda all’immensità e alle infinite possibilità che, paradossalmente, possono scaturire dalla finitezza stessa: “Poi incominciava a sfiorare i tasti, mentre quelli cantavano o suonavano, sfiorava i tasti e a poco a poco quello diventava un suonare vero e proprio, uscivano dei suoni dal pianoforte – verticale, nero – ed erano suoni dell’altro mondo. C’era dentro tutto: tutte in una volta, tutte le musiche della terra”. Ed è proprio questo che convince Novecento a non abbandonare mai la sua nave. Contro il labirinto di una modernità complessa e contraddittoria, contro le città continue di calviniana memoria, egli riesce a trovare un antidoto: “Non è quel che vidi che mi fermò / È quel che non vidi / Puoi capirlo, fratello? è quel che non vidi… lo cercai ma non c’era, in tutta quella sterminata città c’era tutto tranne / C’era tutto / Ma non c’era una fine. Quel che non vidi è dove finiva tutto quello. La fine del mondo / Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono 88, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu, sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi fare. Loro sono 88. Tu sei infinito. Questo a me piace. Questo lo si può vivere. Ma se tu / Ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me / Ma se io salgo su quella scaletta e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi / Milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai e questa è la vera verità, che non finiscono mai e quella tastiera è infinita”. Novecento esperisce, con il suo pianoforte e sulla sua nave, non solo la sua finitezza, ma anche l’idea di infinito, attraverso la fonte inesauribile della sua creatività e immaginazione. E riesce così a salvarsi dal disordine del mondo moderno con la geometria della sua musica.

Alla fine dello spettacolo, con lunghi e calorosi applausi il pubblico ha ringraziato il suo Novecento, l’attore Massimo Zamboni, che con la sua eccezionale bravura ha fatto riflettere, sorridere e al contempo ridere i suoi spettatori, lasciando in loro un turbine di emozioni, ma anche il desiderio di rivederlo ancora una volta sul palco.

Brunella Curzio